mercoledì 2 settembre 2009

In difesa di ANLAIDS, LILA e tutti gli altri…

Nelle scorse settimane “il Giornale” ha pubblicato una serie di articoli sul fund raising nel no profit che ha avuto una certa eco, e che anche sul forum ha suscitato dibattito. Sinceramente, questa serie di articoli de "il Giornale" sul no profit, non m’è piaciuta.
In primo luogo perché fa il paio con i servizi sul costo degli ombrelloni: quando non sai come rattizzare lo sdegno civico dei tuoi lettori tiri fuori questi argomenti, triti e ritriti, ché tanto – purtroppo – c’è sempre qualcosa di “nuovo” da raccontare.
In secondo luogo perché il contenuto di questo articolo, anche in relazione al fatto che è inserito in una serie di articoli in cui si parla anche di autentiche malversazioni, è quantomeno misleading, teso a generare un convincimento complessivo fuorviato.

Mettiamo da parte i casi da codice penale, che pure il Giornale ha indicato, e parliamo del problema concreto: la “scarsa efficacia” del fund raising e la scarsa trasparenza. In particolare delle nostre associazioni di riferimento.

Io non voglio stare a parlare di principi, ma fare degli esempi, che spero possano aiutare tutti.
Qualche mese fa, in occasione del terremoto in Abruzzo, alcuni suul nostro forum hanno partecipato a una iniziativa di raccolta fondi per agire concretamente in quel caso.
È stato facile: tutto si muoveva in un piccolo ambito di poche decine di persone che si conoscevano e si stimavano, e la comunicazione non aveva alcun ostacolo, poiché tutte queste persone, spesso più volte al giorno si collegavano al forum.
Il risultato è stato, dal punto di vista dell’efficienza della raccolta grandioso: il 100% dei fondi raccolti è stato destinato all’obbiettivo. Di questo eccellente risultato però il merito non va ascritto solo alla sia pure grande disponibilità di Scricciolo, ma al fatto che è bastato pubblicare un annuncio sul forum, a costo zero. Che tutto è stato fatto con una “PostePay”, scaricando i costi di gestione su chi versava, che infine l’erogazione del raccolto non richiedeva particolari procedure consistendo nella consegna della suddetta carta ricaricabile e basta.

Invece, se il parroco del comune di Monteciuccioli vuole restaurare il campanile, e per raccogliere i fondi intende organizzare una grande festa parrocchiale, già avrà qualche problema in più: dovrà stampare i manifesti, che magari pagherà sottocosto, ma qualcosa pagherà; dovrà procurarsi tavolini e luminarie, e forse otterrà un grosso sconto, o forse no, dovrà pagare la SIAE per l’orchestrina, e così via… se anche le pie mamme regalassero torte e manicaretti, il guadagno non corrisponderebbe mai al 100% del raccolto.

Se, anziché un forum o un parroco sei un’associazione nazionale, le cose si complicano.
  • Devi fare pubblicità (un po’ te la regalano, ma un po’ la devi pagare, perché la richiesta è tanta e gli spazi sono quelli che sono),
  • fare campagne di direct marketing (un’agenzia che ti regala il concept la trovi sempre, ma le poste vanno pagate, e la stampa di milioni di lettere sempre più colorate costa),
  • trovare le persone che andranno ai banchetti (è finito il tempo dei militanti che prendevano le ferie per andare a montare gli stand al festival dell’Unità, ora persino i banchetti dei referendum sono organizzati con il personale delle agenzie interinali),
  • devi infine “dare qualche cosa in cambio” .
Sì, perché le richieste di donazioni sono tante e i donatori sono sempre quelli.
E allora li devi sedurre e magari fidelizzare.
Così le mamme comprano le “arance contro il cancro”, i figli regalano loro l’azalea della ricerca, a dicembre in famiglia arriva la stella di Natale… e così via, fino al bonsai dell’ANLAIDS.
È ovvio che se sei l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e/o riesci a convincere i tuoi donatori che la causa vale anche se il “regalo” è infimo, allora avrai un margine più elevato, ma la stessa AIRC – se non sbaglio – spende il 40% delle proprie entrate per ottenere il restante 60%. Se rappresenti una causa sfigata – e l’HIV lo è – devi fare regali più importanti. A ciò aggiungi il fatto che hai meno banchetti, e raccogli di meno.
Ed ecco che i tuoi bonsai si mangiano l’87% delle entrate.

L’ho già scritto altrove: “le chiacchiere stanno a zero”, queste sono le spietate leggi del marketing, che si applicano anche al no profit.
Ci sono degli errori? Sicuramente.

Teniamo però presente che alcune associazioni possono contare su colossi della comunicazione e su strutture di supporto di tutto rispetto, e hanno un top management di solito con tre cognomi, con quel che vuol dire in termini di contatti e di opportunità, altre no. Facciamo un esempio? Il consiglio direttivo dell’AIRC conta: il signor Caprotti (Esselunga), il signor Coin, la signora De Cecco, il signor Falck, il signor Du Chène De Vère (un colosso delle affissioni), l’ex segretario generale della Presidenza della Repubblica Gaetano Gifuni, Roberto Tronchetti Provera (Pirelli), Corrado Passera (consigliere delegato e CEO del Gruppo Intesa Sanpaolo)… quanta gente di questa stazza siede in ANLAIDS? Purtroppo nessuno.

E allora? le associazioni meno potenti e con una peggiore copertura del territorio hanno costi più elevati, devono accettare costi più elevati, un po’ come succede quando io vado a chiedere un mutuo e mi fanno prezzi da strozzino, mentre se ci va Pier Silvio Berlusconi gli fanno un tasso più basso dell’EURIBOR

E la trasparenza?
Beh, anche qui c’è molto da dire.
Gestire un’organizzazione è un costo e una responsabilità.
Un costo perché per ogni sede in più di cui ti occupi hai bisogno di segretarie, contabili, strumenti e personale di supporto. Una responsabilità perché una volta che metti il naso in un ufficio locale ci vuole poco a dire che in realtà quell’ufficio è diretto dalla sede nazionale, e a scaricare su di questa tutti i costi cui la sede locale non riesce a far fronte.
E allora, le associazioni, quasi tutte, scelgono la strada “federativa”: massima indipendenza amministrativa al livello locale su cui il controllo è al massimo di tipo “politico”. In questo modo, se ci sono dei guai, sono del direttivo locale.
Se si inquadra così la cosa è più chiara, vero?
Il motivo per cui gli associati sono locali e bilanci nazionali è tutto qui: evitare l’illimitata responsabilità organizzativa e finanziaria per una rete che non si potrebbe controllare

Il rapporto con i soldi è sempre una cosa complessa, e su questo rapporto si esercitano un sacco di pregiudizi e luoghi comuni, che spesso ci impediscono di vedere i problemi veri.
Ma la realtà è di solito molto semplice, “i bisogni sono illimitati e le risorse sono per definizione scarse”, dice una legge che si trova tra la pagina uno e la pagina tre di qualunque manuale di economia o economia politica.
Le associazioni devono confrontarsi con questa legge, esattamente come facciamo tutti noi.
Forse non tutte lo fanno nel modo migliore, ma quanti di noi avrebbero dato anche solo un centesimo proprio alla lotta contro l’HIV se non fossero toccati personalmente?

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